Il labirinto è una struttura, solitamente di vaste dimensioni, costruita in modo tale che risulti difficile per chi vi entra trovare l’uscita. Lo possiamo dividere in tre grandi sistemi, come diceva Umberto Eco:
TRE GOMITOLI
I nostri modi di pensare il labirinto seguono percorsi tortuosi. Tanto per cominciare, vi sono diversi tipi di labirinto. Santarcangeli ne elenca moltissimi, ma per comodità di discorso vorrei identificare tre modelli fondamentali. Il primo è il labirinto detto “unicursale”: a vederlo dall’alto sembra un intrico indescrivibile e a percorrerlo si è presi dall’ angoscia di non poterne mai più uscire, ma in effetti il suo percorso è generabile con un algoritmo molto semplice, perché esso altro non è che un gomitolo a due capi, e chi vi entra da una parte non potrà che uscire dall’altra.
Questo è il labirinto classico che non avrebbe bisogno di filo d’Arianna perché è, esso stesso, il filo d’Arianna di se stesso. Per questo al centro vi dovrà essere il Minotauro, per rendere l’intera vicenda meno monotona. Il problema posto da questo labirinto non è “da quale parte uscirò?” bensì “uscirò?”, ovvero, “uscirò vivo?”. Questo labirinto è immagine di un cosmo difficile da vivere, ma tutto sommato ordinato (c’è una mente che lo ha concepito). Il secondo tipo di labirinto “manieristico”: se sfilate il labirinto classico unicursale vi trovate tra le mani un filo, ma se riuscite a dipanare il labirinto manieristico non vi trovate tra le mani un filo, ma una struttura ad albero, con infinite ramificazioni, il novantanove per cento delle quali porta a un punto morto (solo un corno di un solo dilemma binario porta all’uscita). Labirinto difficile, perché può accadervi di tornare all’infinito sui vostri passi, e che impone calcoli complessi per trovare una regola che consenta di individuare l’uscita. In teoria la regola c’è, perché il labirinto manieristico, anche se ha un interno assai complesso, ha un dentro e un fuori. Terzo viene il “rizoma”, o la rete infinita, dove ogni punto può connettersi a ogni altro punto e la successione delle connessioni non ha termine teorico, perché non vi è più un esterno o un interno: in altri termini, il rizoma può proliferare all’infinito.
Inoltre potremmo immaginarlo come una palla di burro, senza confini, all’ interno della quale posso perforare senza troppa fatica una parete che separa due condotti creando per ciò stesso un nuovo condotto.
Il che equivale a dire che nel rizoma anche le scelte sbagliate producono soluzioni e tuttavia contribuiscono a complicare il problema. Se anche una Mente può aver pensato il rizoma, non ne avrà però pensata e stabilita in anticipo la struttura. Il rizoma è come un libro in cui ogni lettura cambi l’ordine delle lettere e produca un nuovo testo. E se l’idea di rizoma è assai recente, quella di un libro di tal fatta è molto più antica, e la troviamo nella tradizione cabalistica (anche se per i cabalisti rimaneva ferma la fede in una struttura finale del libro che avrebbe dovuto adeguare il progetto iniziale della creazione. Ora possiamo dire che tutto il Pensiero della Ragione, dalla Grecia sino alla scienza ottocentesca, si è proposto come pensiero di una Legge o di un Ordine che dovrebbe ridurre la complessità del Labirinto. Il labirinto veniva evocato dall’ immaginazione, mentre il Pensiero della Ragione cercava di rimuoverlo. Naturalmente, quanto più il Pensiero della Ragione cercava di rimuoverlo, tanto più l’immaginazione mistica – ovvero il Pensiero del Mistero – lo riproponeva – e la storia del pensiero ermetico, dalla Cabala attraverso il Rinascimento, sino ai giorni nostri, è presente a testimoniarlo. Da un lato la Razionalità, che voleva ridurre la complessità del Labirinto, dall’altro la cosiddetta Sapienza, che voleva conservare immutata la complessità dell’Irrazionale.
Una caratteristica di molto pensiero contemporaneo è invece quella di elaborare tecniche di Ragionevolezza per muoversi nel labirinto, senza rimuoverne l’immagine, senza volerlo ridurre a un ordine definitivo, e tuttavia senza abdicare alla necessità di disegnarvi percorsi praticabili. Agli opposti ideali dei Distruttori del Labirinto e delle Vittime (magari complici) del Labirinto, possiamo contrapporre una scienza media che si propone di convivere umanamente col e nel labirinto.
Ricapitolando:
1) Unicursale (gomitolo a due capi – il filo di Arianna).
2) Manieristico (ad albero – tutti rami secchi meno uno).
3) Rizoma (come una radice a forma di palla).
Cito per tutti il tracciato inestricabile di strade che si può definire come un dedalo (termine chiaramente nato dalla figura del mitico Dedalo, il leggendario costruttore del labirinto di Creta per il Re Minosse, il più noto tra quelli dell’antichità).
Cos’è il labirinto?
Nell’antichità il labirinto simboleggiava il caos primordiale e lo sforzo di imporgli un ordine. Il suo disegno spiraliforme ricorda un serpente arrotolato, le viscere, ma anche i meandri del cervello. Poiché da sempre investito di poteri magici, propiziatori e protettivi, non esiste cosmogonia o mito fondatore in cui non sia presente. Allo stesso tempo il labirinto è stato associato al pericolo dello smarrimento, del disorientamento; chi vi entra rischia di rimanerci intrappolato.
In breve, il labirinto è per eccellenza l’emblema universale della ricerca dell’infinito, e dunque del “plus ultra”, del non-limite da parte di noi esseri finiti e limitati.
Chi lo percorre o contempla, diventa consapevole che il confine fra umano e divino, fra finito e infinito, è misteriosamente permeabile. Non a caso la sua unica apertura, ingresso e uscita, ci tenta irresistibilmente al transito.
I romani amplificano il labirinto cretese dividendo il cerchio o quadrato in quattro zone con un percorso unico che le attraversa successivamente. E’ spesso legato a riti funebri, alla discesa agli inferi, come anche ai riti di fondazione di nuove città. Sembra, infatti, un mappa stradale di una città ben ordinata e suddivisa come per esempio Roma, i cui primi quattro quartieri rispecchiano inequivocabilmente la forma della croce del disegno romano.
Al labirinto vengono attribuiti anche poteri magici, scaramantici e propiziatori, nelle cui spire vengono attirati e intrappolati gli spiriti maligni. L’originario significato sacro lascia comunque sempre maggiore spazio a funzioni sociali e ludici.
Nel Medioevo (XII-XV. Sec.) il labirinto subisce una profonda e durevole trasformazione in chiave cristiana, tant’è che una formula iniziatica dell’epoca suonava “il labirinto come vita, la vita come labirinto”.
La Chiesa riscopre la potente forza trasformatrice di questo disegno arcaico sulla psiche umana e lo propone come strumento meditativo, come simbolo di vita, morte e rinascita in Cristo. Diventa centrale il simbolismo della croce come principio ordinatore. Evocando la Via Crucis che ogni peccatore è chiamato a seguire, il percorso verso il centro s’interseca ripetutamente lungo le assi della croce. Allo scopo di renderlo fisicamente percorribile, il labirinto è spesso incastrato nel pavimento delle cattedrali gotiche, raggiungendo anche diametri di 13 metri, come nel caso del più famoso esemplare di questo genere, quello di Chartres.
Per il devoto percorrerlo significa compiere un viaggio intensamente spirituale. Difatti, fu anche chiamato “La via di Gerusalemme”, perché poteva sostituire il lungo e pericoloso pellegrinaggio in Terra Santa. Il percorso dentro il labirinto, spesso in ginocchio, diventa un cammino di penitenza ed espiazione verso la fede salvifica; i suoi intricati meandri simboleggiano il pericolo della perdizione, delle tentazioni del male. Le analogie con il mito cretese non mancano: così il centro era abitato da Satana (Minotauro), che può essere sconfitto solo con la forza della fede in Cristo (Teseo) portatore del raggio luminoso della divina speranza (filo di Arianna). Allo stesso tempo il centro era anche l’approdo alla Città di Dio, dove attuare la conversione e incamminarsi sulla strada della salvezza. La parola chiave era ubbidienza; perciò il labirinto medievale non può che essere monocursale. La “retta via” per raggiungere la beatitudine è una sola ed è percorribile in un solo modo: obbedendo la Chiesa e rimanendo scrupolosamente dentro i confini del recinto dell’ortodossia.
Arriviamo al Rinascimento che segna una svolta drastica nel simbolismo del labirinto e vede sbiadire i contenuti esclusivamente religiosi. In questa nuova accezione il labirinto lascia gli spazi sacri e arriva in quelli profani, lascia chiese e monasteri ed entra come ornamento e passatempo ludico in palazzi e giardini. Creato con siepi sempreverdi, al riparo dall’avvicendarsi delle stagioni e nell’illusione di poter sospendere il tempo, rispecchia così il tentativo dell’uomo di domare il caos, il tempo e la natura.
Il labirinto moderno e contemporaneo.
Dopo una lunga fase di declino durante l’illuminismo, che elegge l’Arcadia come metafora del mondo, è solo dall’inizio del Novecento che il labirinto torna di moda, questa volta nelle case e nei giardini della ricca borghesia in cerca di promuoversi nella scala sociale adottando modelli nobili. Come ornamento divertente e svuotato di qualsiasi riferimento sacro o contemplativo approda presto anche nei luoghi pubblici.
Nella versione contemporanea il labirinto si è trasformato in un rizoma, in una rete, la cui espressione più emblematica è “Internet”, ormai assurto allo status di cosmogramma universale di un mondo estremamente complesso e mutevole.
Infine il termine LABIRINTO.
La parola deriverebbe da Labrys: la doppia ascia che a Creta era l’emblema del potere regale e aveva la forma di due quarti di luna opposti, a simboleggiare il potere di vita e di morte della divinità lunare matriarcale.
La tavoletta di argilla ritrovata tra le rovine del palazzo di Nestore, a Pilo, rende plausibile l’ipotesi che la figura del labirinto sia stata formulata da un’unica cultura che si sarebbe poi diffusa, durante il suo periodo di massimo splendore, attraverso un’intensa rete di migrazioni e influssi culturali. E’ nell’area del bacino mediterraneo che si trova la maggior parte dei labirinti antichi.
Presso la civiltà Babilonese, la forma circolare della spirale, pare fosse una elaborazione stilizzata delle viscere degli animali che, una volta offerti in sacrificio agli dei, venivano poi usati a scopi divinatori.
L’Egitto aveva il “labirinto celeste”, nel quale venivano spinte le anime dei dipartiti, di cui esisteva un esemplare anche sulla terra; il famoso Labirinto, formato da una serie di sotterranei, antri e passaggi con le più intricate giravolte. Erodoto lo descrive composto da tremila camere, metà sotto e metà sopra la superficie della terra.
Nella sfera culturale della Grecia classica il labirinto era concepito come un tracciato di un edificio (a forma quadrangolare), ma era soprattutto il risultato dell’opera ingegnosa e straordinaria dell’architetto Dedalo. Il percorso al suo interno diventa la materializzazione di una prova iniziatica traducibile come viaggio che conduce al centro, ovvero al luogo sacro per eccellenza che esprime la speranza di una rinascita.
Un rinnovato interesse per il concetto del labirinto, venne successivamente accolto dal Novecento. Anche il linguaggio ne è stato sconvolto, visto che non si sospettava l’esistenza di questo nuovo “continente interiore”, che è stato parzialmente decifrato e reso comprensibile. Ad analoghe posizioni giungono gli scrittori del Novecento: eclatante è l’esempio di Luigi Pirandello che, con le sue opere letterarie, ha voluto dimostrare come la verità sia solo un punto di vista che varia da individuo a individuo.
Il labirinto come simbolo esoterico.
Molti disegni antichi di ordine esoterico, alcuni dei quali presenti anche nelle grandi cattedrali, mostrano il labirinto.
I problemi della vita appaiono spesso all’uomo comune come un intricato labirinto, nel quale è difficile imboccare la giusta direzione, se non dopo aver compiuto molti tentativi ed errori ed averne pagato le conseguenze. Se si potessero però vedere le cose da altri punti di vista, ad esempio salendo su una piccola altura, il labirinto rivelerebbe subito la sua ingannevole struttura e sarebbe molto più facile trovare l’uscita.
Questa metafora ci vuol dire che l’uomo non evoluto è ancora completamente chiuso nei propri schemi mentali, come se fosse intrappolato in un labirinto, incapace di vedere una situazione in modo obiettivo; al contrario, chi è spiritualmente elevato saprà vedere le cose da più punti di vista, le proietterà avanti nel tempo e nello spazio e darà loro la giusta importanza, avrà perciò grande capacità di sintesi, riuscendo a trovare la soluzione più diretta.
Più alta sarà la posizione e più lo sguardo potrà spaziare lontano, e comprendere una porzione sempre più vasta dei labirinti della propria vita, fino a vedere anche come questi si intrecciano con quelli delle vite delle persone vicine.
Una possibile interpretazione.
La rappresentazione del labirinto in molte iconografie antiche coincide con la descrizione della città di Atlantide, fornita da Platone nel Crizia, con una struttura ad anelli concentrici equidistanti, due di terra e tre di acqua alternati, rendendo impossibile arrivare all’Isola col Palazzo Reale, dato che ancora non esistevano navi e navigazione. Poi (i sovrani di Atlantide) gettarono ponti sugli anelli di mare che circondavano l’antica metropoli e fecero una strada che permetteva di entrare ed uscire dal palazzo reale.
La complessità nelle forme espressive: il Labirinto.
L’arte (in tutte le sue forme) si è sempre distinta per analizzare, con interpretazioni soggettive e personali, i più svariati concetti: dal rapporto bene e male, che permea buona parte di opere letterarie e pittoriche di ogni tipo, al cibo e alle sue varie forme, passando per l’amore, l’odio, la bellezza, l’angoscia e, addirittura, la stupidità umana. Se ci avviciniamo al tema della “complessità”, di ciò che è difficile e ostico, sia esso il tentativo di rispondere a domande filosofiche del tipo “Chi siamo?”, “Dove andiamo?”, “Cos’è l’amore?”, sia che si faccia riferimento a problematiche più concrete come quelle di “scoprire” o “inventare” o, più banalmente, risolvere un esercizio matematico, uno dei simboli che, per la sua stessa natura, è da sempre effige definitiva di concetti quali “difficile, strano, insuperabile” è quello di labirinto.
Che esso sia disegnato, costruito o semplicemente descritto, il “dedalo” è da sempre l’emblema, sin dall’antichità, di un problema di difficile (se non impossibile) soluzione, di un’impresa dalla quale non si può uscire vincitori, di una lotta in cui la sconfitta è quasi inevitabile.
Il labirinto come “luogo architettonico”:
la metafora di un problema dal quale non vi è uscita.
La Relatività di Einstein è la teoria che meglio spiega la correlazione tra due branche scientifiche), mostra come il labirinto, esteso in un mondo a quattro (o forse più) dimensioni, dove è impossibile discernere tra concetti di alto e basso, destra e sinistra, avanti e dietro, rappresenti l’interpretazione della complessità del mondo in cui viviamo, all’interno del quale le percezioni sensoriali possano portarci la realtà in modo differente da come essa effettivamente è, semplificando una visione che, altrimenti, potrebbe trovarci incapaci di interpretarla e, in alcuni casi, portarci alla follia.
Il labirinto come “concetto mentale”: la follia.
Proprio il tema della pazzia è strettamente legato, soprattutto in letteratura, al concetto di dedalo, attraverso il concetto di “labirinto della mente”, in cui la metafora è intesa per definire la fitta trama (sia in senso biologico che filosofico) dei pensieri e del modo in cui essi si muovono dentro di noi.
Una condizione in cui sorgono spontanee domande su cosa sia lecito e cosa no, su quali siano le strade da percorrere, al fine di vivere una vita che non risulti un “limbo” in cui rimanere impantanati per tutta la propria esistenza.
E proprio per rispondere ad una tale domanda, viene in soccorso la ragione che dovrebbe, in ogni caso, anche in presenza delle più ardue difficoltà, portarci alla soluzione del mistero, a permetterci di trovare l’unica e sola via d’uscita da dedalo in cui siamo invischiati: Umberto Eco, nelle fasi finali del “Nome della Rosa”, mostra i protagonisti, che fino ad allora si sono mossi come due abili detective, invischiati in un problema di difficile soluzione, quello di orientarsi nel labirinto di torri e corridoi della parte alta della Biblioteca del monastero, al fine di scoprire il colpevole delle morti avvenute nell’abbazia nei giorni del loro soggiorno.
Una metafora che ci porta al punto da cui siamo partiti, il concetto di labirinto come luogo che simboleggia la difficoltà della vita, e a cui siamo tornati girovagando in un intrico di cunicoli, svolte impreviste, vicoli ciechi come sempre è l’esistenza umana. Per ricordare che il labirinto, in fondo, è qualcosa che fa parte di noi e che la sua soluzione deve spingerci, in ogni momento, a migliorarci e renderci più forti, andando contro le avversità e sconfiggendo le nostre paure.
Il labirinto della cappella di Sansevero di Napoli.
L’arte si mostra come un luogo privilegiato in cui convergono le tendenze rivoluzionarie generate dal clima della nuova stagione culturale che rinnova e restaura scienza e filosofia. E’ proprio lungo questa direttrice che il Futurismo, l’Astrattismo, il Dadaismo e il Surrealismo attuano la più vasta e graffiante messa in discussione dell’opera d’arte classica.
Nel pavimento è rappresentato un labirinto prodigioso nella sua realizzazione perché creato da un unica linea bianca continua, senza giunture, un’altra delle idee straordinarie di Raimondo di Sangro, che fu davvero un innovatore in tutti i campi.
Ad oggi rimane purtroppo ben poco a causa di un crollo nel 1889 che lo danneggiò gravemente.
Ne è rimasta una parte davanti alla tomba del Principe di San Severo, alcuni tratti si trovano anche nella Cavea sotterranea e in Sagrestia.
Il disegno consiste in un’alternanza di croci gammate (svastiche) e quadrati concentrici in prospettiva. Non è un tema casuale da parte di Raimondo che ne ha ricoperto addirittura il pavimento, il labirinto è il simbolo per eccellenza del percorso iniziatico, attraverso il quale si cerca la via di uscita verso la verità.
Tema molto caro ai Cavalieri Templari, luogo della ricerca del Graal, in Italia e nel mondo ne troviamo di diverse tipologie, spesso in luoghi ben precisi, come dimore filosofali o magioni dei Cavalieri dell’Ordine. Rappresenta il nostro cammino, i bivi a cui siamo sottoposti ogni giorno, le nostre scelte che però fanno parte di un unico grande disegno labirintico, all’interno del quale dobbiamo saper scegliere saggiamente affinché non ne restiamo prigionieri, ma riusciamo ad uscirne vittoriosi per aver, con coscienza e conoscenza, intrapreso la strada corretta.
Bibliografia:
° TRECCANI – Enciclopedia Italiana.
° Il Labirinto come simbolo del viaggio entro e oltre il limite.
di Iliana Borrillo – ( Marzo 2010 ).
° Dall’albero al Labirinto. Studi storici sul segno e l’interpretazione
di Umberto Eco – Editore Bompiani ( 2007 ).
° I Labirinti: il dramma del percorso – Riviste UNIMI ( 2010 ).
di Maria-Isabella Angelino.
° I debiti e crediti dei “tanti noi stessi” e “Il Labirinto della Conoscenza”
di Athos A. Altomonte ( Ω – 29 Ottobre 2007 ).
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