Fin da piccoli, attraverso i media siamo colpiti soprattutto dalle straordinarie potenzialità legate alla Tecnologia, al Marketing, alla Comunicazione e dagli enormi vantaggi che dalla “Mercatistica o Scienza del Mercato”  le aziende e le associazioni ne traggono. Le finalità di questa disciplina sono e debbono essere quelle di garantire il più efficace impiego delle risorse, per ottenere risultati concreti su fronti critici quali l’incremento delle vendite, delle iscrizioni, il contenimento dei costi, ecc. 
In un mondo che corre sempre più velocemente in equilibrio precario, cresce anche l’esigenza di soluzioni sempre più vantaggiose per lo sviluppo ma  allargate al contesto in cui si opera: l’ambiente. 
La nostra, infatti, è la prima generazione della storia, con il compito di decidere se la specie  di cui facciamo parte, dovrà o meno continuare ad esistere: 
l’Uomo potrà salvarsi solo se impiegherà le risorse disponibili per tentare di riparare i danni provocati all’ambiente. Nei nuovi insediamenti ed in quelli doverosamente rinnovati, si profilano periodi di grande dinamismo e di una sempre più spietata concorrenza, dove sarà determinante il profilo della correttezza nello sfruttamento delle risorse.
Il nostro paradigma deve essere : 
le “Aziende” non esistono, esistono 
gli Uomini che le compongono!
(Il fattore umano è tornato ad essere determinante). 
Come fare ?   Inizierei con l’applicare questi miei pensieri !

Vision – La Visione.
Un Mondo migliore dal Nord al Sud, dall’Oriente all’Occidente, dallo Zenit al Nadir, con EcoManager impegnati verso uno sviluppo sostenibile.

Mission – La Missione.
Collaborare al miglioramento, tenendo continuamente presente che:
le Aziende non esistono ma esistono gli Uomini che le compongono.

Behavior – Il Comportamento.
Muoversi sempre con correttezza, ricordando che tutte le DIFFICOLTÀ sono benvenute, esaltano le QUALITÀ di chi le affronta e si chiamano OPPORTUNITÀ. 



Tecnologia: è bene o è male? 

Oggi viviamo, almeno nei paesi sviluppati economicamente, all’interno di ‘società tecnologiche’, così chiamate per evidenziare il fatto che il progresso tecnologico rappresenta un aspetto fondamentale della vita dei cittadini. Diversi sono gli atteggiamenti rispetto al continuo cambiamento imposto dalla tecnologia: da quello catastrofista di chi l’accusa di essere alla radice di molti, se non tutti, i mali del mondo moderno, a quello di chi invece entusiasticamente pensa che comunque la tecnologia migliori la vita di tutti. Entrambi gli atteggiamenti portano a esagerazioni, come quelle di chi vede la scienza come ‘buona’, in quanto ricerca disinteressata, da contrapporre a una tecnologia ‘cattiva’, volta solo al profitto, che rende meno ‘naturale’ la nostra vita. C’è poi un atteggiamento, anch’esso pessimista, che vede il progresso tecnologico come la causa di una crescente perdita di umanizzazione della vita quotidiana, o addirittura come una micidiale arma in mano ai governi per controllare, fin nel più minuto dettaglio, la vita dei cittadini. 
Esempi chiari di questo atteggiamento sono il film Tempi moderni (1936), di Charlie Chaplin, e il romanzo “1984”, scritto da George Orwell nel 1949, quando il dibattito sulle conseguenze del progresso tecnologico era agli inizi. 


Certamente ci sono aspetti della tecnologia che creano problemi per l’ambiente e la nostra salute. Lo sviluppo di nuove tecnologie provoca l’obsolescenza di quelle precedenti, con immense quantità di rifiuti da smaltire; altre tecnologie, come quella del motore a scoppio delle automobili, sono molto inquinanti e diffusissime in tutto il globo. 
Esiste però un diverso approccio a questo importante problema che si sta facendo strada: quello dello sviluppo sostenibile. Da una parte si riconosce che la tecnologia da sempre migliora le condizioni di vita, dall’altra si porta in primo piano la necessità di coniugare lo sviluppo di un mondo sempre più popolato ed esigente in termini di risorse naturali con il minore impatto possibile sull’ambiente.

Nuove tecnologie dunque, ma più rispettose dell’ambiente. Questo atteggiamento consapevole dipende molto anche dalla volontà di tutti i cittadini, che sono gli utilizzatori finali di tanti prodotti della tecnologia. 

Scienza e tecnologia: un legame molto stretto. 

Esiste oggi una certa difficoltà a distinguere cosa sia scienza e cosa tecnologia. Un’idea molto diffusa è che la scienza si interessi alle leggi generali della natura, studiandola tramite discipline come la biologia, la chimica, la fisica. Questa opinione privilegia l’aspetto, indubbiamente molto importante, della speculazione scientifica, spesso vista come una ricerca senza scopi immediati e completamente libera, ma relega la tecnologia a un ruolo soprattutto ‘pratico’ di applicazione delle leggi generali scoperte dalla scienza. È un’opinione piuttosto semplicistica e può portare alla pessima conclusione, anch’essa piuttosto diffusa, che la tecnologia ‘serve’, è utile, mentre la scienza è inutile e difficile.
La storia insegna invece che le cose sono più complesse e che scienza e tecnologia sono strettamente legate. Nel passato, molto più di ora, lo scienziato era anche un tecnologo raffinato, dato che spesso doveva costruire da sé i propri strumenti. 
Inoltre molte invenzioni, come per esempio la macchina a vapore, precedettero anche di molto tempo la corrispondente teoria fisica, in questo caso la termodinamica, che ne spiegava il funzionamento.
Altre invenzioni fondamentali, oggi diremmo applicazioni tecnologiche, furono invece scoperte ‘per caso’ nel corso di ricerche scientifiche svolte per tutt’altro scopo, come la lampadina, il cui principio di funzionamento fu scoperto nel corso delle prime misurazioni sulle conseguenze del passaggio della corrente elettrica in vari materiali. Non si sarebbe, in altre parole, mai arrivati alla lampadina (Thomas Alva Edison), semplicemente sviluppando e perfezionando le tecnologie di illuminazione già esistenti, come la candela.
Un altro esempio, simile ma ben più recente, potrebbe essere il web, sviluppato negli anni Novanta dello scorso secolo da scienziati e militari che si occupavano anche di fisica nucleare, semplicemente per scambiarsi documenti. Reso disponibile, in pochi mesi il web si diffuse in tutto il mondo.
Non sempre dalla scienza ‘pura’ discende il progresso tecnologico, anzi spesso avviene il contrario. La tecnologia, oggi come in passato, crea infatti nuovi strumenti che offrono ulteriori possibilità, a volte incredibilmente potenti, alla ricerca di base. Per restare nel passato pensiamo all’invenzione del cannocchiale, che dette a Galileo Galilei la possibilità di iniziare lo studio moderno dell’Universo. Oppure, per tornare ai nostri tempi, pensiamo a uno dei maggiori avanzamenti nelle scienze biologiche, la mappatura del DNA umano, possibile solo grazie alla disponibilità di strumentazione elettronica, computer e software molto evoluti. 

Il Futuro: le Relazioni umane. 

Forse non sempre ce ne rendiamo conto ma il fulcro attorno al quale ruota l’esistenza umana sta nella capacità di relazionarsi, di comunicare, di far passare il proprio pensiero così come vive dentro di noi e nel contempo comprendere quale sia il vero pensare altrui. 
I bambini iniziano a sentire le piccole difficoltà del vivere quando perdono la sicurezza di essere compresi dai genitori. La difficoltà relazionale “principe” è il pensare che gli altri o semplicemente l’altro non ci comprenda. E’ qui che nascono i problemi di relazione, le sensazioni di solitudine, alcuni disagi e persino molte depressioni. Agli umani non manca la capacità intrinseca di socializzare e di vivere in società; non mancano nemmeno i linguaggi per comunicare, con la parola, con i gesti, gli sguardi, le posture. 
Tutto ciò però si impiglia nel decodificatore che ogni singola persona ha incorporato nel proprio io. E nei mezzi di comunicazione che ci stanno imponendo modelli su cui riflettere.
Le relazioni umane sono il centro di tutto. L’essenza ultima di ogni ansia umana finisce sempre col manifestarsi come un problema di relazione: 
con i genitori, con i figli, con i colleghi, con gli amici, con il partner, con i vicini, i concittadini, le diverse culture, etnie e via dicendo. 
Comincio a pensare che la risoluzione di alcuni conflitti che appaiono ormai senza via d’uscita dovrà un giorno passare da un’analisi della capacità relazionale che hanno le persone, a livello di singolo, di comunità, di etnia o di popolo. 
Non può esserci compromesso possibile laddove persone non vogliono categoricamente relazionarsi: non è percorribile alcuna strada diplomatica se non quella di cercare in qualche maniera di ricostruire una linea relazionale. 
Per questo sono sostanzialmente contro ogni tipo di pregiudizio verso chiunque. 
La base per comprendere l’altro è sempre la relazione, il parlarsi, il comunicare. 
Nella chiusura a priori non può evolvere nulla se non l’esasperazione delle inconciliabilità, che alla fine si alimentano di loro stesse. 
Lasciando i massimi sistemi e osservando il nostro piccolo mondo che ci circonda, la capacità di relazionarsi assume un’importanza cruciale nella qualità della nostra vita. 
Una linea di pensiero affermatasi da qualche decennio, ha imposto il modello dell’autostima come la risoluzione della maggior parte dei crucci esistenziali. Per una serie di ragioni l’iniziazione all’autostima è stata fondamentale per alcune persone: penso alle donne che attraverso il riposizionamento del loro ruolo allo stesso livello del maschio hanno smascherato secoli di predominio maschilista, ipocrita quanto nefasto. Ma penso anche ai giovani che dal ’68 in poi hanno, a fatica, comunicato al mondo che c’erano, sebbene poi ancora oggi il potere sia in mano ad una gerontocrazia troppo spesso inetta.
Potrei fare riferimento anche alle conquiste sindacali e ad altro, ma c’è un’altra faccia della medaglia. Il culto un po’ narcisista dell’autostima ha creato fratture relazionali fra chi riesce a stimarsi davvero e chi invece, per un mucchio di motivi che nulla hanno a che vedere con il potenziale della persona, non ci riesce. Il sicuro di se’, il brillante ha buon gioco nelle relazioni spicce (meno su quelle e medio/lungo termine), mentre il timido, l’umile, l’introverso si richiude in una solitudine che si autorigenera continuamente.
Tutto ciò è sempre accaduto ma oggi ha un effetto deflagrante per il tipo di comunicazione che si sta affermando sempre più giorno per giorno: la comunicazione liquida, volatile, che si compone di piccole frasi e pochi ragionamenti, che si esprime via messaggi o attraverso alcuni strumenti controversi tipo Facebook. Il tutto si mescola fra quantità e masse variabili. 

La selezione è esercitata senza scrupoli, 
con dinamiche che solo vent’anni fa erano inconcepibili. 

Il telefono. Io sono nato in un’epoca dove il telefono suonava e uno per sapere chi stava dietro doveva alzare la cornetta e rispondere. Se c’eri bene; se non c’eri non rispondevi, se non volevi rispondere potevi farlo ma ti rimaneva il dubbio di chi ci fosse dalla parte di là della cornetta. Adesso si può vedere chi ti chiama e non rispondere. Sembra una faccenda da nulla ma è un modo di fare che spezza in maniera drastica il modello relazionale del “cercarsi”. Le relazioni non comportano infatti il solo parlarsi ma nascono prima, nel cercarsi, nel ricordarsi di una persona, sia per un bisogno, sia per affetto, sia per il semplice sentire quella persona.
La selezione che i nuovi media comunicazionali consentono soffoca spesso alla fonte la possibilità di parlare, di ascoltare e farsi ascoltare, di spiegarsi. Alcune teorie un po’ “snob” e vecchiotte, continuano a dire che la comunicazione attuale può contare su centinaia di canali ed è perciò molto facilitata. Anch’io la pensavo così fino ad un po’ di tempo fa’. Ora mi chiedo se la quantità dei canali corrisponda davvero ad un miglioramento delle relazioni umane. Invece gioca un ruolo importante la qualità dei media, e su questo punto si sta progredendo verso una via che a me francamente preoccupa.
Ho paura che il relazionarsi si stia facendo sempre più a misura di “software” e sempre meno a misura d’uomo. Io, per esempio, non amo Facebook, anche se lo frequento molto, e mi spiace per i tanti amici che tendono a “viverci”.  
Sembra di viaggiare fra tonnellate di titoli di giornale, ognuno con la propria testata e i propri titoletti. Niente di davvero interessante. 

Ma questa è una mia opinione. 

Ciò che volevo dire è che c’è una mutazione delle relazioni umane che si sta sempre più codificando in “icone”, frasi isolate, a me piace questo, a te quest’altro. Chi ha buon gioco è la persona estroversa, che si stima, che riesce a dominare più comunicazioni contemporaneamente e nella massa produce molte microrelazioni. Chi invece è di indole più riflessiva, meno esplosiva soccombe e rinuncia ripiegandosi su un disagio che probabilmente dimostrerebbe il contrario. Le relazioni umane dovrebbero, col tempo, recuperare una sostanza fatta di pensiero e non solo di contatti. 


Relazionarsi è il grande ed unico scopo che ha l’uomo nel vivere: confrontarsi, vivere in società, collaborare, costruire amicizie, conoscenze, amori; tutto è condizionato dalla potenzialità e dalla capacità di relazionarsi.
Un bel futuro non può prescindere da un buon relazionarsi. 

                                          Giancarlo Bertollini 

Bibliografia:
Articoli dalle ricerche universitarie.
Lavori per Siti WEB di Giancarlo Bertollini.
Consultazione della Enciclopedia Italiana (Treccani). 

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